E poi il vino e pensieri deformi, i tuoi vent’anni e i pressapoco della mia lontananza. Tra studi classici e maledizioni col dito medio in fotografia, poi bluse a fiori, caratteri sparsi sul tavolo del nostro ieri. Tensione verso l’alto e bacino orizzontale sempre in movimento, al riparo dei cuori candidi, delle tende nomadi dei raccoglitori di gioventù. Con gli ideali per cappello, i pantaloni che si arrendono alla presunzione del passo. Andremo avanti fin quando ci fermeranno, faremo fatica a distinguere tra il noi e il loro, concentrati come siamo al presente. Tutto intorno movimenti visibili e invisibili, tettonica zolle e la velocità supersonica delle navicelle spaziali, cantieri interminabili intorno a piazza ventiquattro maggio. Ci addestriamo alla guerra e diventiamo capaci di lanciare soltanto lo sguardo, le nostre visioni mistiche sui canali di stato, quei trecentossessanta gradi di speranze che fanno i tuoi piedi il sabato sera. Faranno fatica a comprenderci, noi fuori dai televisiori, fuori dai bar e lontano dalle piazze, a cercare gli angoli, gli sguardi nascosti e privilegiati sull’oggi. Lingue su lingue penderanno sui nostri soffitti, avremo spalle forti, guance trasparenti. Saremo belli, finalmente belli e sconfitti, diventeremo invincibili soltanto quando sarà tardi, troppo tardi. Impareremo ad amare, terremo in tasca il desiderio irrinunciabile del ricevere attenzioni. E carezze e abbracci, quelli che arrivano troppo tardi, quelli che arrivano il giorno che non te l’aspetti. Tu, creatrice di rane di carta, di barchette da far galleggiare nella vasca da bagno, tu, donna nuda con la sciarpa lunghissima, orchidea blu, tu passo incerto, neo nero, tu, mia simile, amica.
Foto: © Anthony Goicolea