Le tue passeggiate al mattino e poi il bagno nel mare. Camicie azzurre e giacche appese non sono soldati, ma sorvegliano lo stile, la credibilità si conquista in presenza. E poi la parola che conosce le pause, con la schiena che riposa sulla poltrona, accavalliamo le gambe soltanto quando gli sguardi ci rassicurano e l’amicizia fa di una stanza orizzonti. Guardare il mondo dalle colline e poi scendere in città, quel ch’era piccolo si fa realtà, prima cos’era? Magari il cinema, una pizza, quella stanza d’albergo, il lusso di un taxi. Ma tre giorni in terra; ricerchiamo il bello, magari il buono: acciughe, pane tostato e burro, un Martini rosso e due pop corn a Saint German per festeggiare un traguardo. Con l’idea ferma, il tuo passo che si allontana, un saltello sul marciapiede e una mano bianca che si complimenta. Scriverti è aprire la voragine del cuore, rivelare i vuoti e la piccolezza del mio diventare adulto. Dov’è la libertà in tutto questo mio andare? Dov’è il riposo in questa insoddisfazione che sa trovare gioie sorprendenti e poi malinconie infinite? Il luogo, il luogo dicevamo. Ma non lo so, non lo so ancora. Girovago e ospite, io, incapace di quiete, l’orecchio sempre teso, una sensibilità che difetta in concentrazione e d’estate esplode in allergie. Il cappotto, il cappotto, il passo deciso, il capello lungo, la cintura all’ultimo buco. Guardare e poi scrivere, questo solo, faccio del passo la mia collina, mentre il tuo abito bianco, il tuo inchino, il canto, la consapevolezza dei trent’anni è dannazione, poi guardo a te, le campane suonano, ma non c’è fretta, soltanto vita, che chiede disciplina e ascolto, mentre il mio corpo urla, le mie labbra faticano al silenzio. Amici così in queste vite diverse, a ritrovarci in abbracci e pacche sulle spalle, dirci sono contento, ci sei anche tu, ci sarò ancora.
Foto: © Luca Tommaso Cordoni