Alla fine ho fatto tardi e continuavo a chiedermi perché ci vestiamo di scuro. Mi viene sempre in mente Nina, il Gabbiano di Checov: “E’ il lutto per la nostra vita, siamo così infelici.”. Chissà poi se è vero. Vedevo gente divertirsi, ballare ballare ballare, bere e ansimare. I capelli verde della deejay che si facevano brillanti, le luci mai ferme e odore di sudore, sulla pelle i timbri per identificarci, tu sei dei nostri, tu invece chissà. E fuori pioveva forte, a Milano si piange nel week end.
Quanti sigari avrò poi fumato per questo risveglio con le parole che emergono ruvide dalla gola, non basterà un caffè a svegliarmi. E’ ora di andarsene, cambiare ancora casa e quartiere, con qualche dipendenza in più e meno tempo da vivere. In fondo alla via c’erano dei ragazzi che cantavano, forse erano felici, forse soltanto ubriachi.
Mentre smascellavi ti chiedevo da accendere e non capivi, mi guardavi e mi domandavi che fine ha fatto l’amore. Era nascosto dietro ai tuoi occhi, tra le tue occhiaia nere e gli occhiali che posi di fianco al letto. Privilegi il bianco tu, c’è nebbia tutto intorno, i miei muscoli un mese sodi e quell’altro flosci.
Ce ne andremo prima o poi a vivere in provincia, lontano dalla Lombardia e dalle luci al neon dei centri commerciali. A Istanbul e a i dervishi di Konya, all’impossibile accesso alla verità, al non amato, ai messaggi che penso e poi non ti scrivo.
Quando metteremo sul piatto le nostre diversità saranno altri a vincere e ci porteranno via dal verde del nostro tavolo da pranzo. Consumeremo i nostri giorni lontani a pisciare sulla schiena ai nostri partner immaginari. Mi dirai che il punto non è il possesso, ti dirò che il potere ci cambia e non so in che direzione. Che le direzioni contano e le dimensioni, beh, quello dipende.
Ci metteremo a leggere le previsioni del tempo e programmeremo i nostri futuri migliori lontano da ora e ci chiederemo il perché di questi tempi eravamo così sciocchi da non riuscire nemmeno a sfiorarci.
Foto: dalla rete.