Se soltanto fossimo più giovani, dicevi, così ti ho chiuso la bocca e ci siamo baciati fino a quando la notte ci ha sfondato le palpebre. Coi tempi condizionali ho chiuso, dicevo io, e guidavo ai sessanta all’ora in prima corsia e mi facevo superare da tutti. Guardavamo insieme il paesaggio e contavamo i chilometri che ci separavano dall’addio. Tu indicavi i cartelli stradali dei lavori in corso, c’è sempre qualcuno al lavoro, sempre, altrimenti il mondo si annoierebbe, o magari sono tutte sciocchezze, dicevi. Se per un giorno tutti smettessimo cosa succederebbe? Poi, mentre ti inviavano le foto dello sgombero dell’Angelo Mai e io ti dicevo è inevitabile, tu ti incazzavi un sacco. Ha fatto il suo tempo, ha sussurrato il prefetto. Un ordine e via vai di camionette. E ci radunavamo insieme per consolarci, per la morte dei nostri passatempi notturni e per la speranza tolta ai nostri cartellini timbrati. Ci incontravamo per condividere le nostre giornate, quando ubriachi salgono i pensieri che consideriamo inutili, ma che invece contano. Dei concerti non ci interessava sempre molto. I sottofondi dei gemiti in qualche sottoscala, affrontavamo lo zero che ci circonda cercando di fonderci e sentirci più forti, ma durava sempre poco. E portavamo via quel che per noi aveva un valore, ma fuori da quel posto, alla luce del sole, non serviva più a niente. Abbiamo accumulato cianfrusaglie ai bordi della strada che non servono più, i nostri amici arrivano coi bagagliai vuoti, poi li richiudono.
Nel dopo c’è sempre una strada davanti a noi, a volte per andare, a volte per tornare. Guardiamo per terra o per cielo, perché non si dice “Per cielo”, ma “In cielo”?
e chi lo sa?
però…è bello “per cielo”…
Bello…