Nelle tue tasche qualche migliaio di fotografie e tu così giovane che sai ancora imbarazzarti.
Le scialuppe di salvataggio calate sulla strada e i concerti dei clacson ai semafori, rientriamo tutti, rientriamo presto.
Togliere le scarpe e il pavimento che ci fa scivolare, un bacio alla moglie o al frigorifero. Salutiamo il televisore e sfondiamo il divano. Ora passami l’erba che ho voglia di non pensare. Ora passami la Coca Cola che c’è una serata da incorniciare.
E alle cinque di una notte come tutte le altre rigirarsi in un letto troppo grande e avere voglia di chiamarti. Chissà la tua voce dov’è nascosta e se ti stropicci le sopracciglia quando ti svegli.
L’esistenza negata a chi rifiuta il reale e le zampe dei cani appoggiate sulle ginocchia, i nostri infanti e i silenzi per raccontare storie.
Dovrei abituarmi a pensare a te oltre il corpo, come fanno le badanti sudamericane sedute sulle panchine che accarezzano la schiena a vecchi con lo sguardo rivolto a un altrove. Il rito del passaggio, quei capelli bianchi che perdendo colore acquistano luce e si preparano ad attraversare una materia che non afferriamo.
Mi dici che vuoi fumare prima di andare a dormire, ti dico che mi vengono le paranoie.
Mai che mi dici che vuoi scopare. La vita del due è un articolo “il” mi dici, si sta vicini senza toccarsi e si anticipa il nome, si aspetta il verbo, coscienti di non bastare a riempire le frasi di senso.
La vita dell’uno è una lettera dispersa capace di infilarsi ovunque e a confondersi con mille altre, tu dimmi che “e” vorresti essere nella parola perché? Quella accentata per dare nell’occhio ed esplodere sulle labbra degli altri o la prima che resta in disparte e assiste agli incendi esercitando la meraviglia?
Quante domande sciocche che ti rivolgo in lontananze, quante parole annegherei nel rosso e quanta vita dispersa ha già chiuso gli occhi e più non chiede di me.
Ma adesso che senso ha rimboccare le maniche a camicie che riposano in fondo agli armadi, dimmelo ora a chi regalare i miei papillon, le mie sciarpe calde, le mie mani deboli. Dimmelo tu, non altri.
Prenderò l’ultima barca, l’ultimo treno, l’ultimo verso di una poesia, l’ultima strofa di una canzone, prenderò e partirò, tu mi vedrai comunque. Che sono immagine, visione soltanto, perché non mi hai mai visto starnutire, né piangere e nemmeno venire.
Foto: da Tumblr.