L’addio di Alessandro Del Piero

Per lavarmi via lo snobismo e la necessità del prefabbricato mi sono messo in strada, afa d’asfalto e rondini in parata, la primavera calda del mese di maggio sulle piattaforme mobili del Naviglio. I discorsi retorici sugli amici degli altri e i nostri che fai che sprofondavano in acqua in suicidio col peso dei sassi.

E non chiedermi mai del futuro che la domanda genera perplessità ti ho detto io e possiamo darci tutte le risposte del mondo. Che la conoscenza è nello stare e interrogarsi a lungo genera immobilità. Non puoi fidarti di me se non mi vedi all’opera. Tre soldi in tasca e piccole mani per le case basse e quella volta che confidavo nell’inutilità dei grattacieli e poi sono stato costretto a ricredermi.

Ti ho chiamato e non hai risposto, mi rimbalzano addosso i tu tu del telefono e domande sulle mie responsabilità, non c’è un generico nell’uno a uno. Col campionato di calcio che perde gli ultimi petali per lasciare spazio al verde, le lacrime di malinconia per l’addio di Alessandro Del Piero ed i ricordi di bimbo. Il goal alla Fiorentina con la volee di esterno sul secondo palo nel tempo in cui nascondevo sotto allo zerbino le chiavi di casa e i sogni dell’astronauta e del calciatore. I giochi tra le mamme degli altri e poi la sera a scioglierci il fango dalle ginocchia a dirci che siamo sporchi e sudati perché vissuti. Ed ora è diverso, il mio cane che si avvicina, zampa sul tavolo per dirmi giochiamo e il mio no, che sono troppo stanco per lanciare una palla lontano.

E ritrovarsi al ristorante con le discussioni interrotte per l’arrivo di un piatto e quei cartelli vintage che recitano le proibizioni al giuoco del football. Levarsi la forfora dalle spalle e strappare i peli superflui dei ragionamenti contorti, sarà un pallone a salvarci e ci prenderemo gioco dei no che ci hanno cucito sulle magliette, festeggeremo il goal cercato da tempo e non avremo paura delle ammonizioni, via la maglietta e poi sulla strada correre correre e festeggiare, che siamo tornati al gioco e non abbiamo vergogna degli sguardi degli altri, ci prenderanno per folli e quando ci chiederanno il perché del nostro fare risponderemo in risata che non abbiamo tempo per la ferma di una risposta.

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