Ho perso il tempo a non scriverti. Qui anche il mattino si dà da fare e mi sorprende alle spalle il desiderio di dirti buongiorno.
Tra i discorsi della strada i miei sorrisi leggeri e la pelle che perde in trasparenza, mi avvicino ai muri in solitudine per guardare ed essere guardato.
Da dove viene questo rifiuto al presente, ai nomi comuni della gente comune, all’amore esibito che non è amore e all’odio che quello sì, è odio. Dalla cloaca dei talk show della notte pochi sussurri di salvezza. La comunicazione è buona, buono è l’audio, le persone sono buone, le parole buone e associo l’aggettivo al gusto, mi viene a noia e poi la fame e il frigo è vuoto.
Sono entrato in una chiesa ed i colori erano tutti morti, e gli uomini erano morti ed ero morto anche io. Io che mi interrogavo sul presente, che avevo paura di perdermi e rimanevo sempre immobile.
Sono entrato in un cinema ieri, e le sedie erano morte, ed ero morto anche io, che giudicavo i commenti degli altri e le pettinature e le accompagnatrici e gli accompagnatori.
Volevo dirti che nascondo un fiorellino lillà sotto la camicia, ma non te l’ho detto. Volevo dirti che non l’ho comprato, che è cresciuto spontaneo. Volevo dirtelo, ma non servirebbe a nulla. Il fiorellino spaventa. Spaventano le mie euforie momentanee.
Quando poi prenderò il coraggio della banalità e continuerò a dirti sei bella così ti imbarazzerai, lo farò soltanto in presenza per prenderti le spalle e allontanare l’ansia che immobilizza. Qui tutto ci porta all’isolamento e finiamo per non scegliere, goderci il tutto per non goderci nulla. Pensiamo ci sarà sempre qualcosa di meglio, desideriamo l’irraggiungibile e ci appaga l’idea stessa che noi, noi siamo irraggiungibili, dei semidei.
Quante vite ho vissuto fino a qui? Quante mani ho stretto? E poi i ricordi sono sempre gli stessi. A che serve apparire supereroi quando le notti le lacrime bagnano quel fiorellino lillà di cui nessuno sa. Qualcuno intuisce, lo riveliamo al raro delle candele accese, per non dimenticarcelo. Soltanto nel viaggio, lontano da tutti, allentiamo i bottoni della camicia e lasciamo che esca a decorarci il volto, si infila tra i capelli e splende, splendiamo anche noi che mettiamo la paura in bocca al cielo e non rimandiamo nulla, diciamo che sì, la vita comincia ora, quando avremo il coraggio di svelarci. Ma non è poi così, bisogna stare attenti.
Non è bene rivelarsi a chi non può comprendere e come ai due giorni del militare ti crede folle. Non è bene svelarsi, bisogna trovare un riparo che sia saldo e farci furbi, decorarlo con cura e uscire di casa coperti, sperare che uno sguardo nuovo ci scopra e intuisca, non veda, soltanto intuisca. Dicevo, un tempo, l’inverno è così duro con i lillà, ma ora è primavera, partono ancora gli aerei, ma a volte è bello scegliere di stare.
Foto: Samuel Roy-Bois.