Indossavi un abito rosso sulle decine di chili che hai perso, il mio sogno delle sei del mattino, il primo caffè, gli occhi arrossati. Ora che sei diventata grande, che non fai più rumore quando mangi la pastasciutta, che non indossi lo scolapasta per assaltare i pirati. Ora che ti fai chiamare donna, che non ti servono più le consolazioni dell’alcol e trovi ancora sfogo nei viaggi. Sai, quel giorno d’agosto, quando abbandonato all’estate selvaggia, l’ultima spiaggia e il mio petto nudo, gli amici ping pong e racchettoni, lo sguardo sulla riva, e ogni impronta era la tua, ogni ombra l’annuncio di un tuo arrivo. Poi, a sera, una sagra e costine grigliate nell’aria, quell’sms colpa del vino, il tuo silenzio. Il tempo fa il suo mentre il mio stile rimane immobile, ingannevole e finto, pirite e non oro, un luccichio soltanto. lo capisci da sola che non sono credibile. Così simili alle farfalle coi fiori voi fanciulle, basta una posa per ingravidare di pensieri le nostre pance infeconde. Non credere agli amori di giugno, ti dico, che evaporano in fretta. Così inizia questo mio dire che si mostra quando vuol scomparire, e dura il tempo di una birra, come un glu glu che finisce nello stomaco e chiede il conto al mattino, quando tu non ci sei e fuori è chiaro e il mare un ricordo di ieri.
Foto: © Giulia Bersani