Sdraiati sulla spiaggia coi vestiti di ieri e la notte fuori. Tutto intorno le onde, i nomi delle barche e poche stelle. Le luci artificiali sulla collina, qualcuno non dorme ancora, eppure è tardi. Senza dire nulla lui fa forza sui polpacci, si alza, corre verso lo scoglio, la camicia aperta, il petto magro nudo, tira fuori dalla tasca dei jeans un foglio di carta e lo illumina col cellulare, poi versi incomprensibili sul senso del volo. La nostra attenzione dura così poco, io e lei sdraiati uno sopra l’altro a contarci le costole, troppo freddo qui per i suoi seni adulti e i capezzoli tesi al battito del mio cuore. Una bottiglia ormai vuota, lattine di birra e scarpe gettate qua e là tra questo vento che risveglia i sensi. L’odore dell’acqua e del petrolio delle barche in sosta. E mentre lui, tornato a riva, la camicia che cede alla brezza, le accarezza quel che rimane del suo sedere lei mi guarda dice non moriremo mai da schiavi. Comincio a scavare buche, dico affondiamo le dita fino a toccare l’acqua che sta sotto questi milioni di granelli, chissà se sotto la sabbia che sostiene il mare c’è ancora altra acqua e poi ancora sabbia e fino a quando tutto questo continua. Lui mi bacia le labbra dice volare o sprofondare sono la stessa cosa, per ricondurci al centro di noi non ci sono regole né strade segnate, ma quale scopo? Interviene lei, dice al centro abbiamo soltanto il sesso e non mi sembra ci sia nulla da cercare, possediamo tutto e facciamo finta di non saperlo. Che cazzo di discorsi, dice lui, la prende da dietro e la abbraccia forte, le sussurra all’orecchio, sei così bella quando te ne stai zitta. Lei gli morde una guancia, dice vacci piano, potrei avere un attacco di panico. Tiro fuori dalla tasca una pastiglietta bianca, questa ti calma, dico, lei dice abbracciami, io dico no, dovremmo fare come le luci della città, spegnerci ogni tanto e lasciare gli occhi chiusi, le mani che scoprono i contorni e brancolano in un buio che non è notte. Lui scrive qualcosa sul foglio, volete leggerlo? Dice:
Sulle montagne il mare,
qui,
posso cogliere un fiore.
Basta un haiku a mettere fine ai nostri progetti sul mondo? Ritorniamo a noi, dice lei, prendo la macchina, vi porto a casa. Sono d’accordo, dice lui, torniamo. Eppure dovevamo andarcene per saper ritornare. Non dire cazzate, lo rimprovero, poi cerco le chiavi, ma nella tasca non ci sono più. E ora? Ci mettiamo a cercarle, le nuvole coprono la luna, schiene piegate, poi giù a quattro zampe, le stelle così rare e la luce dei nostri cellulari. Ci ritroveremo a mattina ancora sconfitti ad aspettare il sole.
© Jeff Wall