In san Gottardo ad aspettare un tram che non arriva mai. E trapestio di passi sotto le insegne dei locali. Abbasso il cappuccio sulla fronte e cammino veloce, evito le mandrie e incrocio gli occhi di chi cerca fuori dall’ordinario l’occasione di un incontro nuovo. Tra pacche sulle spalle, Vodka-tonic e Moskow-mule, urla sguaiate e patatine fritte, pastasciutte stracotte e pizza fredda, scivolano le dita sui cellulari, scivolano e accarezzano immagini d’altrove, e richiami agli sconosciuti in messaggi brevi. Nei ristoranti le luci basse per non distinguere i volti, così impegnati a parlare di noi ci scordiamo i nomi degli altri mentre ci facciamo venire in mente un’idea per posticipare il ritorno a casa. C’è un bambino che gioca sui sedili posteriori di un’auto in sosta, il finestrino è abbassato, papà e mamma chissà dove se ne sono andati. Gioca col lego, poi si stufa, sfoglia un libro e fa della bocca una “o”. E intorno i curiosi, prima uno, poi l’altro, circondano la Bmw e salutano l’infante, attirano la sua attenzione battendo l’indice sul vetro. Una ragazza bionda, labbra rosse e scarpe in velluto, dice all’amico chiamiamo qualcuno, la polizia. L’amico sorride, il bambino saluta. Lei insiste, che gli diciamo alla polizia? Lo lasceresti tu un bambino da solo? Quello chiude il libro, fa ciao ciao con la manina e si sdraia sulla schiena, le mani sotto la nuca, poi chiude gli occhi, sembra che dorma. Chiamala la polizia, su forza. Arrivano la madre e il padre, arrivano col cane al guinzaglio, si chiedono cosa è successo, i giovani si spostano, qualcuno succhia da una cannuccia, qualcuno instagramma una fotografia. Si aprono le portiere, la mamma accarezza il bambino e appoggia la piccola testa bionda sulle sue gambe, il padre mette in moto, il cane non abbaia. La Bmw parte, parte e non saluta. I giovani parlano, la responsabilità degli altri valgono discorsi, ancora una scusa per nobilitare un sabato sera. La foto del bimbo riceve molti like, è così tenero, così carino. Io qui, il copriletto color pastello, i piedi nudi e la barba fatta, mani sotto la nuca guardo il soffitto e poi chiudo gli occhi, la mandria è fuori, silenzio tra i muri. A cosa pensava il bimbo? Dov’è quella quiete che dimentica il pubblico e ha la certezza che i propri cari prima o poi torneranno? Strizzo forte gli occhi, milioni di stelle e poi il bagliore, ci sei ancora tu e non saluti, le tue gambe magre e canzoni. Così non dormo, faccio mattina. E più voglio scrivere di te, più scrivo d’altri.
© Bernard Faucon