Di velleità e psicomagie

L’accento sull’ultima sillaba, quel nome francese a donarti eleganza. A respirare vita siam buoni tutti, dicevi, non serve a niente abbuffare gli occhi e spingere il dito per le fotografie come se la bellezza fosse di stagione e poi buio e muri grigi e attese. Noi qui a esplodere di felicità il primo giorno di ferie alla vigilia delle partenze. E indossiamo maglie comode e lasciamo nudo il piede, scendiamo le scale a due a due, le spalle unte di crema e il colore blu del cielo al decollo. I tuoi amici ti chiamano mentre ti fermi davanti a tutti gli specchi per sistemarti i capelli, come se io ti guardassi, come se fossi là. E te ne vai tra gli sguardi a cercare qualcuno che superi il desiderio e si faccia cura, così le mani affondano nei piatti. Un fritto misto e l’unto delle tue labbra che farebbe scivolare le nostre bocche, e ci dimenticheremmo della musica e delle parole e del mare e faremmo urlare il corpo senza preoccuparci delle orecchie degli altri. Desideriamo l’ora del tramonto per far risplendere i nostri volti e riconoscere l’originalità degli sguardi. Troppo orgogliosa tu, troppo sciocco io. Così ti svolazzo intorno come fanno le farfalle e non mi poso mai, batte il mio cuore senza rotaie né porti, prospettive o desideri di vite altrui. Batte in solitudine e ideali, velleità e psicomagie di carte voltate sulle tavole dei bar. Tra le tue dita il sapore delle ciliegie, quando ti volti e la tua schiena è un sentiero, così faccio forza sulle spalle e muovo il bacino per cercarti. Ti lasci trovare poi scappi. Mentre i nostri viaggi confondono il mondo e allontaniamo settembre a furia di Martini e Mojito dimmelo ora che fare, le sei del mattino e un treno o rimanere qui nascosti dietro a smartphone e vorrei? Ti ho scritto che ho prenotato la notte, ho affittato una spiaggia tutta per noi, senza bagnini né racchettoni, senza biglie di plastica e costumi slacciati, soltanto un tondo che brilla nel cielo e una strada di luce sull’acqua, chiamala luna, chiamala prospettiva o libertà, io non lo so cosa ci trattiene seduti su queste sdraio, la bottiglia in mano, i tuoi occhi che brillano, i nostri piedi che si cercano, andiamo, ti dico, andiamo, ho paura rispondi, ne ho anch’io. Poi viene l’alba, il giorno, i pescatori di telline e i vecchi dai costumi larghi, si aprono gli ombrelloni e i quotidiani, di quella strada solo un ricordo. Viviamo così, mi dici, di rimpianti. Poi allunghi un braccio e il tuo dito indica il mare, io mi tuffo, ti tuffi anche tu, dove andiamo ti chiedo? Non lo so, mi dici. Non so nuotare, ti dico. So anche questo, mi dici. E ti rincorro e affogo, mentre tu ridi e ti lamenti perché non rido mai.

Foto: © Cristina Altieri

caltieri9

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