Sul treno, nelle orecchie Ben Harper e un angelo sul finestrino. Il riflesso di me, e i capelli che non si siedono mai. Dimmi dove ti trovi e che cosa guardi, dimmi se sei lontana e che cosa mangi. Una birra, un bicchiere di vino e i taralli, l’aperitivo è il funerale del lavoro, il battesimo della sera. Lascia andare le labbra a parole invadenti, abbandona l’ansia almeno per adesso, almeno per un po’. L’acqua continua a scorrere, tu lascia aperti i lavandini, chiudi gli occhi, immagina l’Argentina, Buenos Aires e le praterie. Corrono veloci le strade, i palazzi e le barriere che trattengono il suono, soltanto il sole resta fermo e non lo so com’è, che gli succede e se ci guarda o ha male agli occhi e perché brucia e mai si consuma. Dimmi perché ricerco il bianco, che magari è pulizia e allarga lo spazio, quello che desidero e che non abito. Chissà com’è che in inglese certe parole non suonano banali, chissà com’è che ancora non suono la chitarra e chissà perché tu non sei qui con me. Sai cosa faremmo? Ce ne staremmo ognuno per i fatti propri, sdraiati e con gli occhi chiusi, ad ascoltare la musica che ci piace, a leggere i libri che ci hanno detto belli, a tenerci le mani col mignolo, questo basta? Mi annoio lo sai, e poi ti cerco. Quante cicatrici ancora sulle nostre labbra, quanti pugni allo specchio. E quando nudi prendiamo freddo la mia camicia e quando nudi ci facciamo incendio e fuori piove e fuori è estate, e fuori è sempre l’autunno delle tue malinconie. In fondo il sangue finché resta dentro non conosce stagioni. E desiderio di conoscenza nel nostro sfregarci, chisseneimporta, stasera mi siedo con gli amici, ce la raccontiamo, magari gli parlo di te, meglio di no, che senso ha?
Di’ per primo che ti piace.
Mi piace. Prima.