I nostri discorsi son come i nomi sulle barche, chissà se l’onda conosce gli alfabeti, chissà se ancora hanno senso le parole spese in ribellioni tra le piazze grandi, mentre sul trono le banche ridono. Mentre il denaro più veloce del sangue rimbalza nella virtualità delle contrattazioni chi siamo noi che mettiamo il basilico sul davanzale per guardare il verde?
Porterò questo mio scontro dentro ai palazzi di viltà tappezzati, sulle scrivanie troppo ordinate e nelle case coi soffitti alti dei centri delle città. Vorrei invecchiare, vorrei che mio figlio dicesse papà, ma tu che hai fatto? Vorrei rispondere che quel che ho raggiunto con fatica ho finito per demolirlo, che a tutto quel che ho pensato, mi son ribellato. Chissà se questo ha a che fare con la libertà. E cos’è rimasto, mi chiederà lui? Questo corpo appassito che si è donato e vuol diventare come l’uva passa, prelibato in purezza per palati rari e vino dolce per tutti gli altri.
Ma finirò per farmi troppo serio, ti vorrei al mio fianco perché tu capiresti, mi prenderesti in giro, diresti che annoio, e sarebbe il vero.
Dovremmo salire sulle nostre biciclette, pedalare tra i campi, tornare a casa rossi in viso a grattarci via le allergie dalle gambe nude. La tua passione per i piumini e i miei occhi che piangono.
Di nave in nave, di treno in treno, trottola dai colori separati che in dinamica ti fai scostante, imprevedibile arcobaleno. Dicevi, ricordo, la responsabilità va delegata, dicevi senza rendertene conto, così la scelta è impossibile e l’andare soltanto una fuga.
Davanti al Chianti, ieri sera, poltrone molli e pensieri, il Colosseo illuminato, i portoni dei calciatori e i nostri dove, come, e poi che ne sarà del domani? Che senso ha il lavoro se la passione ti porta altrove? Se qualcuno non avesse piegato la schiena dove saremmo noi ora? Quale naso si è avvicinato al nostro culetto da bimbo e quale voce ripeteva severa “le croste, no, non le toccare, non le mangiare”. Dove saremmo noi ora senza le mani degli altri? Per le parole belle usiamo il telefono, lo schermo, è la paura che porta al largo gli incontri e non insegna a nuotare. Se non avessi il pensiero che consuma lenzuola e notti, se non avessi le dita, da dove uscirebbero queste parole confuse? Chissà. Andiamo al giardino, calpestiamo la terra, torniamo a casa e facciamo la spesa, viziamoci un poco. Che a noi interessa l’oggi, che ora e qui si consuma, tu non tardare, non è più tempo.
Foto: da Terraferma, Crialese, 2011.