La testa ancora sul comodino, giriamo il volante, freniamo in curva, giù i finestrini, noi tutti al mare. E via le scarpe, e via il pensiero. Cif ciaf di passi tra impronte già scomparse. E mentre l’onda si prende cura del vetro raccogliamo sassi colorati per misurarci in lunghezze. Lancia. Anche tu.
Morivano gli anarchici, Chicago era soltanto un nome, notizie sulle navi e collegamenti imperfetti. Chissà che c’entra il lavoro, chissà che c’entra con il potere. Nell’ingranaggio olio sulle nostre tasche e dignità. Scivolo tra le parole, cado in ignoranza. Morivano gli anarchici e Livorno insorgeva e contro le bandiere del porto e contro la questura, dov’è il console, dove si trova, vogliamo entrare e un sol diritto, la parola.
Ora un concerto, le reti Rai, i jeans sempre più corti, le barbe lunghe. E zainetti, colori primari e discorsi interminabili.
Fuochi sotto le griglie e pianti di grasso a far brillare le nostre labbra. Il vino, ancora un bicchiere, uno ancora, perdiamo il conto dei sorsi, dei passi, dei giorni. Le dita non bastano a tenere insieme le amicizie, così l’allegrezza si fa malinconia e pensieri seduti sugli scogli. Il sospetto dell’infinito a tirarci per la camicia, se fossi in viaggio dimenticherei la preoccupazione dell’esistere. Se fossi in viaggio penserei soltanto a dove andare, tornerei a guardami intorno. Dici rimaniamo giovani perché abbiamo perso radici, dico che lo zaino in spalla pesa e occorre fermarci.
E ti dimentichi sempre di scrivermi, non lo fai apposta, non sai che dire. Troppi ragionamenti tu, troppo istinto io. Finiamo per rivelarci quel che non siamo e confondiamo i toni, ma è tutta colpa dei miei punto e a capo. Tutta colpa delle tue dita lunghe, dell’eleganza del tuo guardare.
I musei son conquista inutile della borghesia, trascinavamo sentenze intorno a bottiglie vuote, le maree in testa e naufraghi fuori dalla porta. E poi il ricordo di quando mia madre mi ha insegnato a fare il caffè, le mie mani inesperte, la paura del fuoco e poi la scoperta. Quel che è nascosto prima o poi torna a galla, ci vuole qualcuno al nostro fianco che guidi il gesto, ci insegni l’attesa. E poi arriva il profumo, la tua schiena curva, le tue labbra strette. E un sol diritto, la parola.
Foto: © Nicoletta Branco
ché, se guardasse meno elegantemente…forse…
ma no. Forse no.
ok.
Mi rimetto a leggere “Le navi”, che m’è finalmente arriato. Ieri.
Dovresti leggerlo anche tu, non dico “Le navi”.
Uno qualunque di…
ma forse l’hai letto.
O forse no.
Oggi sono dubbiosa più del solito.