Come insegnare il piacere?

Il turista ha fretta e non respira mentre il mirino della macchina fotografica sostituisce lo sguardo, fuoco sulla città, sui ristoranti, sui monumenti. E code dietro a ombrelli innalzati a bandiera, code dietro alle croci, il capo chino e i pantaloni corti dei boy scout.

Poi il pomeriggio, le chiese aperte, le voci sole e la solitudine nera dei preti. Comincia l’attesa, dicono qui, e via dietro alle ascensori dei condomini, tra i bicchieri alzati dei pub e le voci acute delle piazze.

Le sigarette guardano dalle finestre e i pensieri cadono sulla strada già consumati. Nessuno li raccoglie, soltanto i folli o gli ubriachi che non contano il tempo in ritardi e cambiano direzione lasciando la barra agli avvenimenti.

Quella ragazza col cappellino rosa fluo leggeva I demoni di Dostoevskij, l’ha detto la professoressa, belle vacanze ci fa passare. La parola è lenta, il suono è antico. Leggi, dico, leggi. Ma le parole del dovere finiscono per perdere in bellezza. Come insegnare il piacere? Sei così giovane, dico, son così giovane, dici, ti guardo con gli occhi del padre che insegna al figlio l’equilibrio della bicicletta. Concedersi al vento, alla strada, darsi alla velocità per la prima volta soltanto con le proprie forze. Così è la letteratura, ha bisogno di una mano che accompagna e poi di affetto, di sguardo che domina l’orizzonte mentre il figlio è andato, libero, verso quel cielo che abita senza accorgersene.

Pensiamo che sia necessario alzare la testa perché esista l’azzurro, ma invece è qui, e lo occupiamo, abitiamo il cielo, ti dico io, con piedi appoggiati alla terra. Sei ridicolo, dici, devi avere una direzione una e una sola, fai percorsi improponibili, disegni cerchi ovunque e poi ci salti dentro, sei tutto e altrove, mai qui, mai troppo a lungo, non sarai mai nessuno se non ti abitui a restare.

Rispondo lo so, so sempre quello che pensi. Siamo noiosi? Mi chiedi. Non credo, mi annoiano lo sguardo perso, chi vuole impressionarti coi ragionamenti e i bottoni delle camicie quando resistono alle dita. Il resto è curioso, ci sono giorni da vivere e attese da attraversare.

Così una donna scarta la pancetta dall’amatriciana, è il digiuno del venerdì, dice, faremo festa domenica. Intorno al tavolo, col vestito buono, il vino, arriveremo all’amaro senza fretta, così ai turisti lasciamo le città mentre noi torniamo a casa.

Foto: dalla rete.

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