Chiusi in casa a costruirci altri soffitti fatti di lenzuola.
Il vociare straniero ai semafori e tutte le longitudini che non sappiamo tracciare. Ti coprivi la pelle di tatuaggi fatti col pennarello, mi chiedevi un parere e ti dicevo proprio non lo so, non vale la pena guardarti sfiorire.
Perché il tempo non ha padroni e semina disgrazie, i nostri visi segnati dagli agenti atmosferici, il freddo a scolpirci le dita, ad arrossarti le guance. Avevamo schedato tutte le nostre paure e riducevamo le nostre telefonate a una cantilena.
Per tutte le volte che mi hai negato la voce, per gli sguardi alle sconosciute, la mia dimestichezza con gli incontri e le parti d’ombra del cuore che aspettano il tuo raggio bianco, la primavera e la fioritura, tu che sei sole, che mi fai crescere dedicandomi uno sguardo, una parola.
Non so spiegarti il perché di questa mia immaturità che fa crescere boschi dove il vento ha trascinato soltanto un seme. Con la sensibilità creiamo ancora orizzonti che i più faticano a guardare, a creder veri.
Li hai visti i giovani in piazza? Perché io non c’ero? Perché come gli indiani porto in giro la mia tenda e non trovo mai il coraggio per il cemento. Tra poco ancora tu partirai, che non sei pronta per restare ferma. Nemmeno io, ti dico, nemmeno io, chissà se questo nomadismo ci porterà a incontrarci.
Chissà che ne sarà dei tuoi capelli, delle tue dita, dei tuoi quaderni. Delle canzoni che ho scritto su fogli andati dispersi, delle chitarre che non ho mai suonato e dei palcoscenici che ho lasciato vuoti.
E ora chino la testa per ricevere il giudizio degli altri, solo decine di anni fa il valore si dimostrava in battaglia? Ed ora? Ho visto giovani appassionati, giovani allucinati, altri dispersi, malati.
Vorrei tagliarmi le labbra per tutte le volte che ho usato la parola generazione, così generico, così codardo. Riparato dai più. Puoi dare la colpa al narcisismo, dagliela finché sei in tempo. Puoi dare la colpa al self made man, agli autoscatti. Appiccichi responsabilità come si fa coi poster, ma è richiamo di polvere e calamite dimenticate sulle porte dei frigoriferi. Tutto andrà in dimenticanza, come le uova scadute, le nascite mancate dei nostri domani.
Scrivevi non c’è un luogo ideale per la scrittura, non uno per lo studio, non uno per il pensiero, conta la volontà, la disciplina, il coraggio. La parzialità di tutti i nostri ragionamenti, se ci divide lo spazio, che ne sarà di quel noi che ha paura, che ha bisogno di abituarsi ai confini, prendere coscienza del dove per essere quel che è. Così confuso finirò ancora per accarezzarmi le labbra, pensare a te, alle tue iridi splendide.
Foto: Ambra Iride Sechi.
dopo averti letto ci si sente sempre…più.