A Milano salutano soltanto i senegalesi e lo fanno per interesse.
Il tuo ciao e poi il mio nome: il risultato di questa pioggia. Lavare via i tuoi contorni per cancellare lo spazio che mi separa ancora da me. Non ci sono distanze calcolabili tra gli sguardi accennati dietro ai computer. La stagione invernale e il cuore ricoperto di ghiaccio, non batte più il tempo caldo del mese d’agosto. Una birra chiara e poi a spasso tra i vicoli stretti di Brera e quelle danze stanche al fumo delle panchine bianche di San Lorenzo. Ed io che mi ritrovo ad essere uno di quelli che se ne va in giro a pensare a cosa non va negli altri. Perché le bariste ci appaiono tutte belle, i cantanti e le ballerine e tutti quei desideri proiettati sulla parola celebrità per poter condividere qualcosa con gli altri e l’argomento dei nostri discorsi sui treni della provincia. Che siano isole o la x delle rappresaglie canore, i quattro anni dati al ladrone e le esultanze scritte perché rimangano il tempo di qualche caffè. Non leggo un libro intero da più di un mese, mi accontento di citazioni e rime sparse. E ti aspettavo come si aspettano gli uragani, avrei voluto che rivoltassi la mia vita fino a lasciarmi vestito soltanto dei miei calzini spaiati. Tu ed io e il letto che si rimpicciolisce perché lo guardiamo dall’alto, e siamo l’uno tra le gambe dell’altro, aspetta il tuo turno e non fare il furbo. E in questo autunno che ci disperde gli ormoni e si compiace in foglie gialle desidero soltanto una birra scura per sporcarmi le labbra di bianco e somigliare a te per qualche secondo. E poi vergognarmi delle mie debolezze e poi esaltarmi per i tuoi punti fermi. E mi ricordo della pangea, e di quando ti dicevo che una volta tutto era casa e il mare rimaneva intorno per guardarci. E chilometri e chilometri per guardare il doppio azzurro degli orizzonti, il nostro pellegrinaggio prima di farci morte in orgasmi. Poi la deriva, la separazione dei nostri continenti, il tuo cuore a est e la tua bocca morbida sulle scale dei palazzi eleganti. Ma con i puzzle io riesco male. Mi perdo i pezzi. E per le immagini uso le parole, e tutto è evocato, soltanto proiezione di memorie, niente di vero. Nulla di più.
Quadro: Vincent Van Gogh
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