Ho dovuto grattare il fondo dei miei interessi, togliere la ruggine alle lezuola per immaginarmi una vita coerente. Col “Gioco del mondo” di Cortazar che ci invitava al come vuoi, gli inizi nel mezzo e la fine per cominciamento. Siamo sensibili come lucciole, quando arriva la notte sfogliamo le nostre dita sulle tastiere, cellulare o computer che importanza ha che succederà? Che nascondiamo il giorno tra i capelli lunghi per custodire quei farei, i dovrei, i condizionali per i nostri jeans troppo stretti. Che Levis non produce più il modello engeneer mi hanno detto, che sapevano regalarci libertà rispettando la forma irregolare dei nostri corpi imperfetti. Quando tracciavamo silhouette sullo specchio e tra le molle del letto incastravamo i nostri nomi nuovi che avremmo dovuto vederlo insieme quell’Ultimo Tango a Parigi e dire fa male, e ancora, e più, Marlon Brando, you you e per l’amore uccidimi e poi fottimi, il respiro nuovo nell’ansimare dopo una corsa. Le strade lunghe degli Champs Elysees, come a Torino, le nostre umbre lunghe proiettate sulle foto in bianco e nero dei cinegiornali. E per tornare alla realtà le bandiere e gli slogan, le folle antologiche nei teatri del nostro tempo, il boato lungo dello Juventus Stadium e il goal da 35 metri di Mirko Vucinic per dirci che se dovesse andar male ci restano i passatempi degli altri. Che la passione salva mentre le barbe sagge crescono per poi cadere.