Avrei voluto scriverti una lunga lettera, ma non l’ho fatto. Noi siamo come tutti gli altri che postiamo a go go su questo schermo per cancellare il vuoto che il bianco interroga lo sai meglio le righe e srotolavi la lingua il tappeto rosso per le mie entrate trionfali il nero intenso di quelle volte che avrei voluto vederti e non ci siamo visti. Che tu eri con lui o con un altro non ha importanza. E per raggiungerti il mio scooter berrebbe benzina a più non posso per dimenticarsi i parcheggi i marciapiedi grondanti di piscio che come me vorrebbe solo viaggiare e non prendere polvere che arrugginisco d’estate e con le prime piogge mi metto in moto. E allora vorrei dirtelo forte che ero seduto in prato con un iphone un ipad o ipod non lo so e dovevo guardarlo mentre era spento la telecamera per i dettagli la manicure che col ventaglio in mano per non sudare sono solo una geisha che si paga l’affitto. E alla fine la riga me la sono fatta con le parole che metti in fila che più di cinque non sono mai come le dita. Mentre ti aspetto proietto sul muro le tue foto inutili con le luci per illuminarti i film muti degli anni venti la musica dei carillon e le tue pose da adolescente e col naso grande i Rayban storti rifletto queste lucertole che passano giorni sdraiati d’immobilità le scosse dei numeri del sudoku, le previsioni del tempo e i cruciverba senza rete le gambe al riparo sotto al tavolo per raccontare di Magnini il torace largo della Pellegrini. Sappiamo tutto di tutto tutti di tutti e quando torniamo in casa ci lanciamo sul letto come i bambini e gli assassini col terzo mondo delle mie parole per i tuoi ritorni questi raccolti da stendere al sole quando ti ho detto dei miei sussurri che mi piacerebbe leggerti i miei schizzi all’alba quando tutti dormono quando sogni Parigi quando Amelie numera gli orgasmi e conta fino a 15.