Infinitamente da me

Ormai magra da sentirsi pronta, Giulia si guarda un’altra volta allo specchio, sposta il peso sulle spalle perché la pelle si ritiri mostrando le costole; riesce a contarle, arriva fino a tre, poi il body verde fosforescente che le fascia due mammelle appena accennate, i capezzoli si sporgono un poco puntellando il tessuto. Ora lo specchio riflette il profilo, non ha mai avuto il culo così piccolo e sodo, i leggings in ecopelle non fanno altro che sottolinearlo. Il trucco è pesante, righe nere sopra e sotto gli occhi, raccoglie i lunghi capelli in un’unica coda. Le scarpe hanno la suola alta, completa il tutto una specie di kway col cappuccio giallo fosforescente.

Il telefono squilla, ciao ciao allo specchio, Giulia raggiunge l’amica Luna, due baci sulle guance, come stai? sei una favola, amo, anche tu. Poi un righino bianco, magari due, un po’ di Ghb: addio freni, addio inibizioni e stronzate da scolarette. Addio madre e addio padre, addio ansia e psicofarmaci, addio pensieri di domani stanchi, addio cielo bianco milanese e benvenuta notte e benvenuta dimenticanza.

Col freno di un taxi bianco, i profumi dolci, le gambe magre, labbra che risplendono e collane lunghe fino all’ombelico. Il rosso dei semafori negli occhi di Giulia proiettati fuori dal finestrino. La consoleranno due spalle nude, un petto depilato? Adrenalina sotto la sua lingua. Dai amo, siamo arrivate, ti apro la portiera, stai attenta alle pozzanghere. Luna ha una borsa piccola e fucsia, tira la cerniera, le cinquanta euro di papà possono bastare, il taxista non parla, decine d’euro di resto.

Là fuori tutti vestiti di nero, il giallo fosforescente del cappuccio illumina gli occhi dei ventenni, saltano la coda Giulia e Luna, conoscono tutti loro, il culo di Giulia poi ha un discreto successo, Luna la trascina avanti tenendola per mano, inciampa su tacchi troppo alti, sulle gambe grasse; le sue tette gonfie che si affacciano da un vestitino troppo stretto salutano i buttafuori, quelli rispondono un buonasera con accento straniero. E ancora baci sulle guance per le nuove arrivate, rituale lunghissimo. Ma quanto tempo, sei così dimagrita, amo, sei bellissima. Frasi sussurrate alle orecchie, la techno corrompe i timpani. Non ti sento, amo, parla più forte amo, bevi qualcosa amo.

Gli occhi di Giulia semichiusi per ripararsi dai neon, le braccia alzate a cercare un ritmo, il cappuccio sulla testa, sempre più fosforescente, si muove Giulia, si muove e non guarda da nessuna parte, svela le costole, tutte e tre, svela i capezzoli, tutti e due, Luna la guarda, goffa, appoggiata al bancone, col suo profumo dolce, con le sue labbra che grondano rossetto. Non più amo, né come stai, erano due e ora sono sole, la serata comincia, la musica spacca le tempie. Luna succhia dalla cannuccia un Gin Tonic, un ragazzo le si avvicina chiedendole se è italiana. Luna alza le spalle, succhia ancora dalla cannuccia cercando qualche parola per rispondere a un’ovvietà.

Giulia si muove a tempo nel mezzo del locale, le luci la cercano, lei ha gli occhi chiusi, i ragazzi la circondano, lei ha gli occhi ancora chiusi, le costole, i capezzoli sempre in mostra. Qualcuno la avvicina, le appoggia il bacino tra le cosce, lei apre gli occhi, avara d’espressioni, fa un passo indietro e ricomincia a ballare come se niente fosse successo.

Le labbra di Luna hanno perso il rossetto, contro il bancone lingue nascoste dentro a due bocche così vicine. Portami in bagno, dice, anzi portami a casa. Ci sono i miei amici, siamo appena arrivati. Portami in macchina, dice lei, ce l’hai la macchina? Lui la macchina ce l’ha e ce la accompagna.

Giulia, oh, Giulia, tenera Giulia, piccola Giulia. Le tue altalene e il parco, il cane Roostie che ti leccava le mani. Eri riserva nella squadra di pallavolo, arrivavi sempre per prima agli allenamenti, ti inventavi soprannomi per tutti, che ti è preso Giulia, che ti sei messa a leggere, Giulia? Perché non giochi più? Tua madre è preoccupata, Giulia, dice che non le parli più. E mangia, Giulia, non chiuderti in camera, non è vero che basta la musica. 

Ha i capelli rasati Ivan, avvicina Giulia, mantiene una distanza di trenta centimetri, è così magro Ivan, è così nero, due gambe come trespoli, le spalle strette, si muove così bene Ivan, dieci centimetri, Giulia ne avverte la presenza, apre gli occhi, lo fissa, regala un mezzo sorriso, Ivan fa finta di niente. Ballano vicini, giallo fosforescente e nero, cinque centimetri, due, ora si sfiorano Ivan e Giulia.

Una fotografia incornicia i loro vent’anni, tutto in un flash, li pubblicheranno domani su Facebook, questi anni bellissimi.

Luna ha terminato il su e già sopra un sedile poco profumato, si fa portare a casa, chi se ne importa di Giulia, il suo l’ha avuto, anche troppo in fretta, ma a che serve aspettare, a che serve annoiarsi, un’altra puntata di Fargo la aspetta, a casa c’è tutto. Fuori fa freddo.

Giulia e Ivan raggiungono il bagno, sempre ballando, naso contro naso, polvere bianca sul lavandino. Leccami le dita, ti voglio. Non ora, non mi va, non c’è problema. I neon li aspettano, torna a brillare il cappuccio. Non riesco più a chiudere gli occhi, nemmeno io, guardami ora, domani non ti ricorderai di me. Baciami adesso, domani non ti ricorderai di me.

Giulia, perché ora vuoi tutto dimenticare? Che te ne fai di tutto quel malessere? Sii felice, Giulia, cosa ti frena? Ho solo vent’anni, continui a rispondere.

Ivan la stringe, tornano a sfiorarsi. Tutti intorno li guardano, qualcuno li invidia.

E tu Ivan, dove l’hai lasciata la tua ragazza? Al paese, Ivan, se ti vergogni di lei non la ami. Cosa cerchi, amico? Ti sei scoperto bellissimo e ora non la sai gestire questa tua bellezza? Cosa ci trovi in Giulia, cosa manca a Caterina? 

Escono insieme dal locale Ivan e Giulia, non salutano nessuno, si abbracciano, si accarezzano, si baciano. Vieni a casa mia, non posso, voglio che ti ricordi di me, non posso. Perché? Mi farai male. Non puoi saperlo, lo so, siamo nati per farci del male, poi arriva la morte. Ci assomigliamo troppo, appunto, non ti farei mai del male, me lo farai invece, vieni a casa mia.

Giulia ci pensa. Ivan la stringe da dietro, camminano e inciampano spesso. Ci facciamo così sintetici che poi se vuoi dimentichi tutto, e se decidi di non dimenticare puoi stare da me finché vuoi, infinitamente da me. Ne hai? Ne ho. Tanta? Tantissima. Voglio suonare per te. Se tu suoni per me io ballo per te. Lo fai davvero? Tanto poi me lo dimentico. Perché vuoi suonare per me? Non suono mai per nessuno. Tutti suonano per qualcuno. Io perché sto male. Sto male anch’io. Possiamo stare male insieme. Non è la morte questa? Io dico vita. Che scemo. Chi? Tu. Io? Che discorso del cazzo. Io? Tu. Perché parli ancora? Suona. Ok. Tu balli? Sì. Per me? Per te.

Foto: © Vanessa Winship

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