Tra i denti aria cheta e caffè. Poche automobili, lontano il suono di una campana. Il bambino, pigiama azzurro, raggiunge il letto dei genitori, urla sveglia. Nella finestra di fronte lavori in corso, aspirapolvere accesa e capelli appena lavati. È festa sugli alberi di palline colorate e pizzi bianchi, le iniziali ricamate sulle camicie del capofamiglia e una cane da accompagnare sulla strada. Altri caffè dentro ai bar e palazzi grigi, coppie dagli aliti lisergici gettano al cuscino il bacio del buongiorno, chi è ospite si guarda intorno e si riveste in fretta, la sciarpa sollevata fino alla fronte e l’ultima fila sull’autobus a guardare fuori i negozi aperti a pensare al perché di occhiaia nere e capelli sporchi. Sul ciglio di tutte le strade uomini e donne stesi a cercare il calore in guanti consumati, i nostri occhi troppo impegnati a cercarci il riflesso sulle vetrine, ci hanno costruito preoccupazioni e bisogni, così consapevoli e ormai sconfitti che quando tutto è apparecchiato per il nostro benessere ci tormentiamo con la felicità e l’opinione degli altri. In tutto questo tu e io. Non bastano i passi a misurare le nostre distanze. Sei uscita sul balcone a fumare la prima sigaretta e già pensi a che fare, a dove andare. Io ti accarezzerei il sedere, lo sai, e ti stringerei forte da dietro, del tuo sguardo uno sguardo, delle tue mani le nostre mani. Lo senti il cuore pompare sangue in tutto il corpo, non servono ora le canzoni dei cantautori tutti nervi e chimica mentre sussurri che mi abbrutisco e tutta la mia sensibilità non serve a nulla. Bovarismo si chiama. Inventarsi realtà e comporle, l’apoteosi del virtuale. Ora il rasoio, io torno in provincia, sedie e amicizie, vino rosso per non pensare, il gioco delle carte, la pancia piena, la sigaretta al balcone, tu come stai, torna la domanda, tu come stai, gira tutto intorno.
Foto: © Miraruido