Facevi tardi. Le ruote affondate nelle pozzanghere e la vertigine dei sottopassaggi.
Nel tuo ombelico non c’è del vino, sole rimangono le tue spalle di damasco mentre la notte dipinge i muri di nero, il tuo carboncino riposa sul tavolo. E al risveglio quigong per allungare il collo e guardare il paesaggio bianco. Bianco. Non volano mosche qui. Chissà se il falco dal volo ampio e lo sguardo dall’alto, chissà se il falco che non muove le ali, ma fende l’aria e misura ogni sforzo, chissà se il falco si affanna nei pensieri che lasciano le nostre palpebre aperte a fissare il soffitto la notte.
E sopra il soffitto il cielo. E sopra il cielo un altro cielo. Poi l’universo infinito di buio e stelle fisse, esplosioni silenti.
Oltre alla tua pelle chiara, tra le efelidi e il nero berbero dei tuoi capelli, tana di bellezze e ricchezza nella tua lingua che come le gru canta e costruisce nidi e si nasconde dal radar dei più.
Le nuvole nascondono altre nuvole, ma il sole non nasconde un altro sole. Così il tuo occhio s’avventura in percorsi privilegiati attraverso i vetri degli obbiettivi, le giostre deformanti dei luna park per restituire un’immagine di te che ti sorprende.
Non negli specchi, ma nello sguardo d’altri, siamo davvero noi? Quante domande non troveranno risposta stasera. Meglio onorare il corpo, mangiare il buono, onorare il vino ed esultare ballando. Mentre la radio suona la dance degli anni novanta, sai che facciamo, ci facciamo sciocchi e corriamo il rischio del ridicolo, un po’ più liberi e meno sordi.
E se i dervisci ruotano in trottola per arrivare all’altissimo, noi incastriamo le costole e vedrai che il soffitto si avvicina, le pareti si stringono, e le tue anche non sono più insignificanti.
Ci troveranno così, un mattino, senza distinguerci, come le nuvole.
Foto: Nicoletta Branco.
È così . Proprio così. Bravo signor scrittore.
Andrea