Il surf in città tra le anatre e i bar. Le nostre giaccavento antipioggia per quando siamo saliti in cima alle torri e contavamo i gradini e respiravamo forte. Quando le nuvole si impigliavano tra i capelli e la città si rivelava dall’alto come i lego la mattina del Natale. Con tutto l’orgoglio che c’è ti parlavo dell’Allianz Arena e Nostra Signora della borghesia ci stringeva tra le poppe d’ottone. E per riprenderci coglievamo le margherite per infilzarci le orecchie e non sentirci stanchi. La birra ci scorreva addosso e pisciavamo tra gli alberi e a chi ci riprendeva mostravamo i denti. Englisher Garten con le pagode cinesi e i templi d’Atene che non serve prendere gli aerei e correre, la birra allarga stomaco e orizzonti ed ora è tutto qui. E tra i nudisti ci scambiavamo i battiti del cuore. Quando abbiamo intrecciato le costole ma c’era troppa gente e tu hai guardato il cellulare e mi hai detto che avevi fame come se avessi ricevuto un messaggio da lassù che gli orologi non si usano più. Ti ho affittato un braccio e ti ho portato a nord e hai voluto i wurstel ma la cucina era chiusa. Le luci al neon e la birra a un euro è più malinconica, il pop, la dub, quell’elettricità dei corpi quando si sfiorano. E ti sei ricordata delle Buffalo e dei tagli sulle tue braccia magre. Di quando aspettavamo le ascensori per nasconderci negli angoli. E la mattina raccoglievamo le occhiaia da terra. E poi sul treno quando mi hai stretto per dirmi che puzzavamo un po’ che era finito il tempo degli interrail. E mi hai messo gli occhi nella tasca dei jeans e ti ho svegliata davanti al cancello. Col lavoro che ci riempie di psoriasi e le malattie psicosomatiche della nostra precarietà. E abbiamo varcato la soglia e le labbra si sono chiuse con le cerniere. I passi lenti in quel cortile grande come un campo di calcio e noi come rette parallele non ci toccavamo mai. Ci siamo stretti nei nostri vestiti e tu hai alzato il cappuccio. Le fosse comuni, e quei forni che avevamo visto alle elementari che ci mettevano l’argilla. Quando i nostri polmoni si sono aperti come conchiglie e sentivamo le urla soffocate, quando una mosca mi si è posata sugli occhi e ho sbattuto le palpebre perché non ci credevo. Poi mi hai dato la mano e siamo usciti ricomposti. E ti ho abbassato il cappuccio, ma non riuscivo a rubarti gli occhi e siamo saliti sul treno per andare all’aereoporto. E siamo rimasti in piedi. E guardavamo fuori dai finestrini, ma non vedevamo nulla. E poi l’aereo è partito. E ci siamo fatti il segno della croce e ci siamo addormentati sul lato.
Bel Post! 🙂
Un invito a riflettere sul vero senso della memoria anche su Vongole & Merluzzi … Spero avrai modo di ricambiarci la visita 🙂
http://vongolemerluzzi.wordpress.com/2011/01/27/olocausto-amnesico/#comments