“Viviamo per desiderare, e così farò anch’io, e balzerò giù da questa montagna sapendo tutto alla perfezione o non sapendo tutto alla perfezione pieno di splendida ignoranza in cerca di una scintilla altrove.”
Jack Kerouac
Viviamo per desiderare, un’espressione che il caro Jack contorna di grazia e scintille e che in bocca, sola, muore presto. Desiderare cosa e chi e perché. Quando riusciremo a bastarci moriremo ignoranti, ti ho detto, hai sollevato le spalle, le tue spalle magre, le tue spalle, oh, una meraviglia. Ci siamo ritrovati a far su e giù, la schiena al muro, i tuoi capelli che a tirarli non finiscono mai, le nostre bocche deformi. Forse così sono i mostri, soltanto animali che al riparo del bosco si lanciano in versi e rincorse. Non fanno più paura, non siamo più bambini, ti dico, mentre gioco con le tue labbra, teneramente gioco. Nella retorica dell’anch’io sono pieni i social e le televisioni. Un’espressione generica e nulla. A ribadire il confine che separa i generi. Il meccanismo dell’invadenza, del dominio, dell’egoismo che impregna la corda tesa del mondo si sciorina negli incontri. Nulla di che sorprenderci. La reazione buona è lo scandalo o l’accettarsi umani e per questo deboli? Quando, il tuo gesto e il tuo fare sono stati sgraziati, quando il tuo pensiero ti ha imbruttito i tratti, lo sguardo, ha violentato i tuoi gesti? Fare e pensare, cogli ancora la differenza? Abbiamo tutti cicatrici visibili o no, alcune fanno male, altre meno, alcune attirano sguardi, altre meno. Ci sono vite semplici e altre più complesse, dice il ragazzo che guarda dalla cima della montagna, da lassù uomini e donne si confondono, tutti la stessa silhouette. Troviamo il modo di separare ancora, fosse almeno il tuorlo dall’albume, fosse almeno per un desiderio di ricomporre poi, di ricreare, poi. La tua spalla, il mio petto, le tue dita lunghe, il mio neo. Dimentichiamo in fretta i problemi del mondo, mi dici. E il cuore continua a battere, soltanto il ritmo cambia.
Foto: © Marianna Rothen