Viene buio ormai presto e nella piccola provincia è tutto un chiudersi di persiane al nascondersi del sole. I vecchi disertano le piazze e riempiono i bar occupando di carte il marrone dei tavoli. Sul fuoco minestre e patate a bollire nell’acqua, qualcuno ancora sa come si prepara il purè. Nella grande città scintillano le bollicine nei calici, il prosecco e il ghiaccio confondono il gusto dolce dell’Aperol. Un bicchiere, poi due, se prima i soldi non bastavano ora si pesca nel fondo delle tasche che per consolare l’anima occorre procurarsi il terzo. Così, storditi e zoppicanti, si torna a casa ascoltando soltanto i bisogni primari: pisciare, mangiare, trovare un corpo per alleggerirsi del seme. Poi il letto, il lungo sonno prima della sveglia. Il lavoro come una performance, i colleghi che diventavano amici, le conversazioni sul perché continuare questa vita. Le intolleranze, gli egoismi, le opinioni non richieste. Scavalcare i trenta e ritrovarsi con la vita che si è scelta ma che si immaginava diversa. Prima il viaggio, stendere la mano e prendere possesso del mondo, poi i diritti dei più poveri, l’attenzione alle minoranze, e ancora l’arte, la creazione, poi l’amore e la soddisfazione di tutte le curiosità, le grandi città, i traslochi e infine la casa, la moglie, i figli, il giardino e due, quando va bene tre stanze. Una passione, se si trova il tempo. Mi hai salvato tu, non riesco nemmeno a dirtelo, sono stato nel vortice dell’adolescenza, nel temporale delle velleità, poi il silenzio e il lungo ritorno a me, con i vestiti che mi si sono asciugati addosso sotto il calore dei mille e più soli che ho attraversato. Il mio cercarti, ora e sempre, è salvezza, è quel mondo tanto immaginato e mai trovato. Tu e nessuna provincia, nessuna città. Tu, motivo di ogni mio sbando, di questa mia tenera, fragile, immatura ed eterna giovinezza.
Foto: © Ren Hang