Col MacBook sulle gambe

Se ne stava sdraiato col MacBook sulle gambe, la luce dei pixel le persiane chiuse nell’ora che segue il pranzo della domenica. Lei nella sua camera rettangolare, il letto singolo, seduta gambe incrociate, il suo MacBook con la custodia in plastica rosa e l’adesivo “Metallo Inside”: il collettivo degli anni del liceo. Un anello al naso, un tatuaggio sulla coscia destra: indianina col turbante tutti i colori dell’arcobaleno. Lui le scriveva che fai. Lei rispondeva mi annoio. Ho comprato dei cappelli al negozio vintage, vorrei farti delle foto. Potrai, rispondeva lei. Poi silenzio. Un minuto, due, dieci. Che fai stasera? Mi perdo. Desideravano incontrarsi ma nessuno aveva il coraggio di dirlo. Al riparo della tastiera, nel tempo che le luci artificiali non sanno scandire, ognuno alle prese con la propria malinconia e i desideri non ancora avverati. Credo dovremmo vederci. Lo penso anch’io. Poi un’altro silenzio. Un emoticon. Lui se la face su, la fumò tutta smoccolando sul Mac, i polpastrelli neri. Fece partire un video sull’indipendenza della Catalogna, il sangue sui nasi feriti. Scrisse alla sua amica rivoltosa che a Torino urlava slogan tra le violenza di manifestanti e polizia. Sono così umana, gli aveva detto lei. Io penso tu sia un supereroe. Ma non posso volare, realista la ragazza. Potessimo farlo, si trovò a scrivere lui. Poi un altro emoticon, un altro silenzio. Le cosce calde, il pomeriggio da inventare. Un altro spliff.

Foto: © Raymond Meeks

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