Ti ho incontrata nell’ora prima della sera. I tuoi occhi a esplodermi in viso, il cellulare nell’orecchio e i capelli a nasconderti il volto. Ti sei fatta vicina; i vestiti larghi, la fretta, l’ansimare dei tuoi passi ricacciato giù come a dire non ti stavo aspettando, non ti stavo neppure venendo incontro. Ci siamo sfiorati come fanno le api coi fiori e poi via a camminare la strada lunga e arte tutt’intorno. La birra il caffè chisseneimporta. Mi guardi, ti guardo e intorno sono voci volgari e cravatte. Tu e tutto il tuo mondo del fare, tu e la tua borsa grande le tue notti passate davanti a un computer a dire ce la farò prima o poi a diventare qualcuno. Ma chi? Ti dico, che già tu sei e vivi e parli e ascolti ogni mio sospiro. Per quando il nostro mondo finirà non ho preparato nulla. La valigia è vuota i vestiti sparpagliati per casa, le lenzuola bianche ancora sfatte, le pareti bianche portano il calco delle nostre mani. Abbiamo battezzato il mondo mi hai detto nascondendo il viso nell’incavo del mio collo. E non ci potevo credere e non ci potevi credere. E via con le domande sul senso e via con le assurdità del fato. Se siamo quello che siamo è perché dovevamo esserlo. Bella cazzata, mi hai detto. È stato allora che ti ho guardato i fianchi, è stato allora che mi hai preso per mano. E di quella notte non ricordo niente, della tua presenza invece, avverto ancora il peso. E non guardarmi così, mica è brutta cosa, è che quando siamo corpo ci avviciniamo al reale, piedi a terra e ventricoli gonfi. Ciao ciao, ti dico, mentre prendo un altro treno e aspetto un altro arrivederci. Ciao ciao.
Foto: ® Joel Meyerowitz