Ora invece della felicità delle prime ore di buio. Dei ritorni a casa: le auto parcheggiate, dei caschi appena sfilati. Dei miei capelli lunghi e dei jeans consumati. Dei tuoi maglioni di cashmere da perderci il senno, le magliette a righe da confondere gli sguardi. Gli inviti a cena: soltanto togliere la giacca, affidarti il vino e sedermi a far festa, dimenticare il segno della croce e rinunciare al respiro prima del gusto. La bocca piena e il calice colmo. I viaggi interminabili dopo i concerti, le scie luminose che guidano il volante e quei pensieri che fai soltanto con gli occhi chiusi appoggiati ai sedili. Dormire in tenda e i discorsi sottovoce prima di prendere sonno. I risvegli in branda e l’erezione mattutina. I primi baci desiderati da tempo e i panni stesi ad asciugare al sole di febbraio. La neve di maggio. I caratteri straordinari della tua scrittura a mano. Ricevere una lettera. Quando qualcuno traduce in parole quello che tu, proprio tu, hai sempre pensato, ma non hai mai saputo vestire e portare in passerella. Quando leggo il tuo nome sul telefonino e quando rispondi dopo il terzo squillo. Il profumo di mamma, i capelli curati di un padre. Il grignolino col salame e lo spezzare del pane su tavole in legno. L’attesa al citofono. Un ricordo che credevi scomparso. La casa in ordine e le lenzuola pulite. Tu che mi ascolti e non si capisce che pensi. Una birra fredda dopo un trasloco. Accendere un fuoco e poi il legno delle mansarde. E le parole delle canzoni e poi non pensare, almeno per un po’, almeno per adesso.
Foto: dalla rete.