Con le cartoline appese alle guance tracciamo mete per i nostri sguardi. Che volevamo emigrare nelle periferie del sud per riscoprirci le vene e rimboccarci le maniche. Tra i fondi del caffè proprio quando hai finito di mangiare col vino che si appiccica alle gengive scoppia una corsa in piazza del Duomo e non è il giro e non è rosa e non ci sono secondi né terzi, né coppe, né sponsor. Milano arancione con le luci del castello e le auto che non si fermano ai semafori. L’amaro zucca del centro ci addolcisce le bocche. Questo tramonto nell’occidente ha il sapore della resurrezione. Con gli abbracci che ci piovono addosso e questa pioggia di flash per illuminarci gli sguardi. Le biciclette ancorate ai pali della luce e queste nuvole bianche. Bianche come le tue mutande contro la guerra. E
tra le foto intrecciamo ricordi per nipoti che non avremo. M’hai detto che siamo diventati grandi grandi come gli oceani così grandi che si toccano e si dimenticano che si stanno toccando. Che per i tuoi occhi ero del colore dell’acqua. Quanti discorsi per scoprire che il vino non ha una forma. Che si adatta ad ogni contenitore. E poi abbiamo brindato e c’è qualcosa di erotico nelle tue parole quando le pronunci dall’alto. E sotto i sedili nascondi le canzonette degli 883, i sessant’enni di ieri e le loro utopie salgono i gradini della felicità e ci soffiano addosso il vento di Maggio. Le nostre danze fosforescenti. E per non vergognarti mi hai parlato del 25 aprile con le bandiere rosse e la vernice fresca sulle pareti della statale. E per farti ridere i miei progetti per la rigenerazione dei nerd. Degli intonaci delle case popolari e dell’inutilità dei colori. Ci pensi mai ai templi dei greci? Ci pensi mai che erano tutti colorati? Che siamo così eleganti quando passa l’inverno.
Questo tramonto nell’occidente ha il sapore della resurrezione
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