La prima volta. Da “Oggi, domani o dopodomani”

Giocò a nascondino dietro al portone.
Contò fino a dieci e poi mise la testa fuori: “Cucù!”.
Achille balzò all’indietro.
Lei lo abbracciò e gli diede due baci. Uno a destra e uno a sinistra. Sulle guance.
Lui non riuscì nemmeno a stringerla.
“Sei in ritardo.” Disse lei.
“Pensavo mi avessi ingannato. Non rispondevi più al telefono. Cosa dovevo suonare?”
“Nulla.”
“Nulla? Non mi dire che questa non è casa tua.”
“In un certo senso.”
Lui rise. “Cioè?”
“Sono in affitto. Sul citofono non c’è nulla, è bianco, l’ultimo in basso a destra.”
Non era poi strana come se l’aspettava.
“Pensavo di disegnarci sopra una balena, o magari una zucchina, una melanzana o una giostra, che dici?”
“Eh?”
“Balena, zucchina, melanzana, giostra?”
“Valentina e il tuo cognome, no?”
“Mi sembri banale signorino.”
“Normale.”
“Banale.”
“Mi prendi in giro?”
“Sì.”
Achille era fermo, impalato. Non aveva ancora guardato gli occhi di Valentina.
Guardava in alto la ringhiera che circondava il cortile.
Un gatto zampettava addosso a una cimice senza riuscire ad acchiapparla.
Una signora grassa bagnava fiori magri. L’acqua in eccesso si gettava dal balcone e moriva sull’asfalto.
Un vecchio attraversava il cortile.
“Buongiorno signor Bandini!” Salutò Valentina.
“Buongiorno piccola.” Farfugliò Bandini.
“Lui è il mio fidanzato.” Valentina presentò Achille.
“Beh, non proprio… Achille, piacere!”
Il vecchio lo squadrò dai piedi alla testa e dai capelli alle scarpe.
“Ti sei tagliato i capelli?”
“Eh sì, glieli ho tagliati io.”
“Brava.” Disse Bandini, e se ne andò.
“Vuoi stare qui ancora per molto? Sali dai.”
Valentina saltò le scale a due a due. Achille la seguiva guardando i nidi di rondine attaccati al soffitto.
“Grazie.”
“Il minimo.” Disse lei.
“Me li hai tagliati davvero bene.”
“Cosa?”
“I capelli!”
“Ah, ma no, senti, il signor Bandini è simpatico, scherziamo sempre. Ogni persona che viene a trovarmi gliela presento come mio fidanzato, anche una ragazza, poco importa, a lui interessa vedermi fidanzata e io gli dico che sono fidanzata così siamo contenti in due.” Infilò la chiave nella serratura.
“Ma sei fidanzata?”
“Certo!” Scomparve dietro la porta. “Non entri?”
“Permesso.”
Una luce blu.
Pareti panna. Sulla parete, disegnata a mano, una ragazzina modello Tim Burton teneva tra le mani un rocchetto. Al rocchetto era attaccato un filo; faceva il giro della stanza, si fermava sul soffitto ed esplodeva in un aquilone a forma di rombo, rosso.
“Non sei sulla luna!” Valentina gli diede un buffetto sul naso.
“Eh?”
“E’ una casa, non ne hai mai vista una?”
“Beh, così, no.”
“Vuoi guardarmi negli occhi?”
Gli prese il viso tra le mani e lo portò di fronte agli occhi. Si guardarono.
Lui fece per baciarla. Lei lo allontanò.
“Per chi mi hai preso?”
“Beh, in quei casi ci si bacia, no?”
“No. Vattene.”
Silenzio.
Lei scoppiò a ridere.
“Scherzo, scemo! Voi uomini proprio non capite niente, niente!”
“Di cosa?”
“Di cucina.”
“Davvero?”
“Ma sei normale? Di noi donne, del fantastico mondo in rosa.” Trasformò le corde vocali in un vocione degno di palcoscenico.

Achille! Achille datti una svegliata! Non sei un deficiente.
Voglio dire, con le donne ci sai fare. Poi che non te le porti a letto è un’altro discorso.
Hai fatto bene a provare a baciarla, lei voleva. Sicuro.
Ora rilassati, gioca anche tu. Sei là per quello, no?
Dai, forza! Duro, Duro! Divertiti. Ci sei anche tu. Ci sei anche tu!

“Allora? Si mangia o ordino due pizze?”
“Non ordini niente. Ti siedi. Prendi il tagliere e tagli le cipolle. Secondo cassetto il tagliere. Nel frigo le cipolle.”
“Non si tengono in frigo.”
“Lo so.”
“E perché sono in frigo?”
“Le ho comprate da venti minuti e sapevo di doverle consumare.”
“Piangerò?”
“Ti farà bene.”
Achille tagliò le cipolle a dadini. Preciso.
Valentina si muoveva per la stanza sulle punte, come una ballerina.
L’acqua bolliva.
Il forno mandava calore. Le melanzane alla parmigiana cuocevano.
La pasta da buttare.
L’acqua da salare.
L’odore di cipolla scavava tunnel nelle narici.
“Fai di tutto per non baciarmi.”
“Ah, la cipolla? Adesso vedrai che col latte non si sente.”
“Fai la pasta al latte?”
“Nel sugo ce ne metto un po’; lascia fare. Passami il curry.”
“No.”
“Passamelo gringo.”
“Vuoi avvelenarmi?”
“Malfidente.”
La pasta era pronta. Valentina infilzò due maccheroni con la forchetta.
Achille ci soffiò sopra, li prese tra le dita e li assaporò.
“Mm, pronti.”
Valentina prese due presine a forma di mano, spense il fuoco.
La tovaglia ospitava l’ombra di due girasoli.
Achille versò del vino rosso nei bicchieri ricavati dal contenitore di vetro della nutella.
Non riuscì a non notarlo. Valentina si era sporta un poco sul lavandino, la maglietta azzurra elastica si era alzata un poco e aveva lasciato scoperto un tatuaggio rosso con la scritta: “I can fly.”.
“Piuttosto banale.”
“Che?”
“I can fly.”
“Mi guardi il culo?” Valentina mischiava la pasta al sugo etnico. L’odore di curry sfondava le narici.
“Non sono solo io quello banale.”
“L’ho fatto in America, a 16 anni. Non lo rifarei più ma ormai sta là e se l’hai guardato vuol dire che ti piace.”
“Mi piace quello che c’è sotto ma la scritta è inguardabile.”
“Arraperebbe chiunque.”
“Qualsiasi sedicenne. Qualche ventenne allupato. Un trentenne stupido. Un quarantenne annoiato. Ora che ci penso… sì, arraperebbe chiunque.”
“Lo vedi? Banalità. E’ la chiave del potere.”
“La banalità arrapa, eccita, comanda e…”
“Filosofo, mangiamo?” Lo interruppe lei porgendogli il piatto.
Achille affondò la forchetta tra i maccheroni. Li portava alla bocca, schioccavano sul palato e rilasciavano il gusto ai lati della lingua. Non passarono tre minuti che il piatto di Achille fu pulito mentre quello di Valentina era ancora pieno.
“Cannibale. Vedo che ti piacciono?”
“Beh, sì scusa, mangio veloce, per lasciare più tempo ai discorsi, no?” Le accarezzò la mano.
Lei ricambiò la carezza. Poi prese tra le dita il bicchiere; lui fece lo stesso.
Insieme brindarono agli incontri. Batterono la base del vetro sul tavolo e bevvero. Lei tutto in un sorso. Lui appoggiò soltanto le labbra come galateo chiede.
“Niente male.” La guardò negli occhi e vuotò il bicchiere.
Prese la bottiglia. Riempì di nuovo i due bicchieri.
Si guardarono per pochi secondi, brindarono a loro due.
Batterono la base del vetro sul tavolo. Bevvero guardandosi.
Il forno trillò. Le melanzane erano pronte.
Mangiarono.
Parlarono molto.
Giocarono a prendersi in giro.
Lei gli parlò dell’infiammazione dei fori dei piercing.
Lui le raccontò di come è possibile fare un grande quadro fotocopiandosi le chiappe. Il difficile è trovare una fotocopiatrice. Poi si scannerizza e si modifica al computer.
Parlarono di film, libri letti e mangiati.
Parlarono di ex fidanzati. Di fidanzate irrequiete.
Di liti e di baci.
Di sesso e di amore.
Parlarono, parlarono tanto. Forse troppo.
Venne la notte, si sdraiarono. Lei sul divano, lui per terra, su un tappeto azzurro.
Una bottiglia di vino, la terza, li guardava dal tavolo della cucina.
Lo stereo batteva il ritmo elettronico di Aphex Twin.
Continuarono a parlare. D’amore, di morte e altre sciocchezze.

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