Lo sai, bisogna mettersi in situazioni di non ritorno, mi scrivevi. Così prendevo la forma dei camaleonti e cambiavo ogni volta vita a seconda dei colori del cielo: il bianco di Parigi, i cirri delle montagne, l’azzurro di Roma, il blu dei mari poi il grigio di Milano. La pelle, invece, rimaneva sempre la stessa, non siamo fatti per strisciare come i serpenti, dicevi tu, da quando ci sono cresciute le gambe non fai altro che correre, perché non ti siedi e mi guardi negli occhi?
Esistono dimensioni parallele fatte di mensole e specchi e di capelli sporchi al risveglio, conversazioni che di notte hanno un senso e di giorno spaventano.
Ora guardo il colore del mio piumone, mi chiedo se ogni volta che scelgo lo faccio in maniera pensata oppure mi accontento.
Tendiamo ad accumulare il più possibile: ho le borse dell’immondizia colme e non mi decido a buttare nulla. Il vuoto regala sollievi e invita all’ordine: pensa ai piatti giapponesi e alla disposizione del sushi.
Quando parlavamo dei colori della tua auto veniva fuori la banalità del grigio, la mia vespa color panna e tutti i caffè che ci beviamo al mattino. E trattavamo la quotidianità come un ostacolo, ma senza paletti non esistono le gare di sci, mi dicevi tu, e cosa c’entra ti dicevo io? Così riuscivi a spiegarmi che anche quando la vita è discesa bisogna far forza sulle gambe e puntare le bacchette, girare il busto e fare il solletico ai pali, che altrimenti si prende troppa velocità e va a finire che si dimentica il traguardo perché è impossibile fermarsi.
Staresti bene con la tuta da sci, dovremmo prenderci meno sul serio, come quando hai troppo freddo e indossi tre paia di calze e riesci ad essere femminile anche solo bevendo il tuo tè. Io invece non riesco a darmi tregua e salto da un divano all’altro, da un tavolo all’altro e cerco discorsi originali soltanto perché il limite è qualcosa che ancora mi spaventa.
Pensare alla vita come a una mongolfiera e guardare tutto dall’alto regala paesaggi magnifici, ma fa perdere il contatto con la terra.
Ci pensi mai che dovremmo voler bene anche ai sassi? Viviamo in città mi dici tu. Non per sempre rispondo io, guardo la mappa e mi dico che è ora di una nuova partenza. Hai rifatto il letto? Mi chiedi. Non ancora, rispondo io. Prima di partire lascia tutto in ordine, continui tu. Non importa a nessuno, ti dico io. Dovrebbe importare a te, dici tu, e non credere che se un giorno ci incontreremo non me ne accorgerò.
Foto: Alecsandra Dragoi.