Ci sono parole che dici e poi ti penti di aver detto, ci sono parole che scrivi e poi ti penti di aver scritto. Che senso ha la parola al di fuori della storia? L’azione salva, tutto il resto è un di più. Perché fare zazen mi chiedi, perché trascinare la mattina del sabato sul cuscino, sognare il mare, restare immobili? Ci siamo detti più volte io e te – e quando dico io e te parlo di me, che tu non esisti, sei la creazione del mio immaginario, l’amico invisibile dei bambini folli o troppo soli – ci siamo detti più volte io e te che queste terre non sono fatte per noi, questi lavori non ci si addicono e desideriamo l’altrove per la realizzazione di noi stessi. L’agriturismo, diciamo, l’agriturismo. Che siamo come tutti gli altri.
Nei tuoi colletti bianchi, nelle tue sete colorate e lunghe, il ricordo e la grazia degli anni passati, tutta quella storia che non fa polvere indossata con disinvoltura sulla metropolitana sempre in orario. Fuori dalla mia porta i campi di grano coi semicerchi di spighe piegate dall’amore tenero e selvaggio della notte. I tuoi occhi brilleranno oggi e poi ancora domani e chissà che guardano e chissà chi guardano, chissà cosa significa sentire la tua presenza nella stanza, non dico parlarti, oh no, non dico nemmeno guardarti. Immagino ancora la tua silhouette fatta a strisce dalla luce che taglia le persiane. Dici i romantici muoiono giovani o diventano cinici. Taglio un maracuja in due sfere e ti imbocco col cucchiaino, mi dici che dolce, mi dici che bello sei. Mi chiedo il perché dei colori delle statue greche, tu guardi il muro e convieni che sì, è il bianco a illuminarci il volto a ripulirci il pensiero. Poi sul terrazzo mentre fumo quei Moods scadenti realizzo che tu non ci sei e io non sono io senza te, senza gli altri. Chiamo gli amici, li invito a cena, e bevo forte così che i ricordi e i vorrei non servono più, è tutto un presente. E il giorno dopo è testa che gira, pensiero forte.
Foto: © Saul Leiter