Tre righe di coca a un amico

Alla fine son tutti amici quelli là dei giornali. Cioè, io dico, se sei uno che legge e osserva va a finire che lo capisci, e io mica mi fido. Ti presento quello, che è simpatico, davvero, scopadelico, una strafigata, fa ridere. Invece sul giornale ti dicono che è necessario, “riconoscere e promuovere la meraviglia” e che se non lo fai sei uno schizzinoso. Ma la meraviglia che parola è? Non sono uno schizzinoso, porco cazzo. Tre righe di coca e un caffè. Figli, come mi mancate, sporca primavera questa dove ci imbrattate gli alberi con le vostre parole profetiche. Patriarchi dell’impegno e della vanvera. Gli amici degli amici degli amici, la firma in calce grossa e l’impegno nella mano sinistra. Il politichese come arma e poi le famiglie. Lordura a schizzi. Appoggerò i gomiti sulle vostre tavole per ribaltare le zuppe e farle colare sulle vostre barbe incolte che non fanno plebe, sulle foto patinate dei vostri sessant’anni e sui meccanismi del potere esercitati sulla giovinezza. Non mi inginocchio, miei cari, siete presidenti del tutto e ci guardate dagli aerei nei vostri viaggi per informare, per dar lezioni dalla cattedre degli editoriali. Professorini del lusso dalle frequentazioni scelte. E i capannelli nei bar e il solito caffè. Troverò il modo per smascherarvi, troverò il modo, e quando l’avrò trovato aspetterò un altro giovane, sciocco, eremita che mi si avvicinerà senza educazione, mi prenderà da dietro e mi farà colare il trucco. Che lo svelamento è questione d’incontro.

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