Ce ne andiamo a giro

Ora che è tutto chiaro: bianco l’asfalto, i palazzi, bianche le pietre agli angoli delle stradine di campagna, i fiori dei campi che il tuo piede leggero calpesta, si fanno candidi anche i miei occhi e quel che vedo è luce. Non c’è alba né roseo tramonto in questo mio guardare, non c’è riposo, ma la purezza di denti capaci di morsi, c’è quella voglia misteriosa di sporcarmi che domina le ore chete dei pomeriggi d’agosto. L’ultimo abbraccio estivo, sudore alla fronte, piedi nudi e il motorino con la freccia accesa a indicare una fermata mai una sosta, l’arrivederci che prima o poi verrà, le felpe e i maglioni, poi dicembre. Noi che ci sediamo fronte a fronte incapaci di pensare ai domani tiriamo fuori dal pozzo delle viscere i ricordi stravolti dal nostro vivere sensibile e immaginifico e continuiamo a donarceli senza stancarci; non sono foto pancia scoperta, costume a fiori, non sono canzoni, siamo noi, dici tu, io dico boh così siamo d’accordo. Raccogliere i pensieri degli altri, il film delle intimità confessate ai conoscenti, la nostra rabbia sfogata dietro alle finestre e quelle allergie che ci tormentano. Vogliamo dare ancora la colpa alla sensibilità? C’è in tutto questo nostro avvicinarci la corda invisibile dell’ego imperfetto così possiamo soltanto sfiorarci. Se tu fossi me, io te, che cambierebbe? Ce lo diciamo per gioco, per riempire il silenzio. Ti dico il bar mi rovina le mani, dici che il viaggio rovina i tuoi piedi, è come se le tue mani fossero i miei piedi, dici ancora, io dico wow. Tutti questi nostri ragionamenti non portano profitto a nessuno, lo sai? L’economia rallenta perché la rallentiamo noi, sentiti in colpa. Dobbiamo fare i conti anche col mondo, mi dici, altrimenti scappiamo. Scappare da chi da cosa da dove? Scappare per andare dove a fare cosa e poi perché? Ci facciamo lotta col desiderio di emergere, di riuscire, di farci finalmente belli, belli davvero, che ce lo dicono in tanti ma in fondo in fondo nessuno ci persuade. “Persuade”, rideresti a sentirmelo ripetere e giocheremmo con l’accento. Ci piace così, ci divertiamo con quel che c’è, sappiamo ancora distrarci e confondere il reale col su forza, raccontami una storia. Mille incipit e mai una fine, non ti viene ancora a noia raccontarti? No, dici tu. No, dico io, così ricominciamo da capo. “Piacere Marco”, mi dai la mano, io la stringo, e non è come la prima volta. Mi conosci già, dici tu, io faccio sì con la testa e ce ne andiamo a giro e intorno, sai, tutto intorno, vola tutto anche se non te ne accorgi.

Foto: © Conor Clarke

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