A confessarti che ho dimenticato aperto il barattolo della marmellata. Le colazioni in solitaria e la spontaneità delle mie scritte sui muri. Sarà la paura, sarà che prima o poi verranno a cercarmi, ma ho sempre fretta chissà poi perché. E mi ritrovo a dirti che non ha senso parlare male degli altri, che non è sempre importante dire quello che penso e che bisogna imparare il silenzio quando il pubblico è inadatto alla libertà del verso beat. E augurarti la buonanotte, guarda che ci sono, non è importante dove.
Nei tuoi disegni i cuori innalzati in vecchiaia, che non è mai troppo tardi ce l’hanno insegnato da piccoli, prima o poi anche io suonerò uno strumento.
E le lamentazioni sul freddo che fa, le code al cinema. Fuori dalla porta i dibattiti su un film e una parola con la data di scadenza mai scritta. Quella bellezza abusata, annegata, innalzata, adorata e consolata. Non così sogno i miei domani, se è vero che crescere è ridurre tutto al semplice ritorneremo un giorno a pronunciare sillabe come Ma Ma e Ta Ta, perdendo i contorni e facendoci paesaggio per poter guardare senza essere giudicati. Che non ho mai visto una fabbrica prendersela perché non piace, mai cascate innalzarsi per fascino.
E dieci dita dai vent’anni, la ragione mi conduce in porti sconosciuti e scelgo l’esempio dei Cristi morti di cirrosi epatica: lo scandaglio dell’io e la comprensione di tutte le debolezze. Quando sarai grande poserai la testa sulla mia spalla e mi mancheranno le carezze, che ho le mani disperse nel fascino ignoto delle conoscenze superficiali.
Canta uno stereo parole di donna, canta uno stereo e non parla di noi.